Discorso 40ennale Giovani Confindustria Bergamo – 28 Novembre 2011
Autorità, colleghi ed amici,
Eccoci! Siamo arrivati al 2051 e festeggiamo i secondi 40 anni del Gruppo Giovani di Confindustria Bergamo!
È incredibile, pensare come dopo tanti anni, tante vicissitudini, lo spirito associativo, ed in particolare dei giovani imprenditori, sia ancora vivo in tutti noi.
Nonostante i progressi della tecnologia permettano ben più della obsoleta videoconferenza, l’aver deciso di ritrovarci fisicamente nello stesso luogo è l’attestazione del valore della centralità dell’uomo, del nostro bisogno di aggregazione fisica, perché come diceva Jacques Delors non possiamo “rinunciare all’idea che noi non siamo noi stessi, ma siamo anche attraverso gli altri e apparteniamo a collettività e comunità”
Durante questi ultimi quattro decenni che ci hanno separato dal 2011, abbiamo assistito e partecipato ad una accelerazione delle dinamiche mondiali che già all’inizio del secolo si potevano scorgere.
La popolazione mondiale è cresciuta velocemente passando dai 7 miliardi di persone del 2011 ai 10 miliardi attuali e, quasi senza rendercene conto, il baricentro del mondo si è spostato: il peso demografico di Cindia, ovvero dell’aggregato di India e Cina, ha superato i tre miliardi e anche lo scettro economico è passato nello loro mani; un dato su tutti: il PIL di questi due stati ha superato la somma di Stati Uniti, Giappone ed Europa.
Negli Stati Uniti, i WASP (Bianchi, protestanti di origini anglosassoni) élite del passato, sono diventati minoranza e hanno lasciato il passo agli americani con il trattino, afro-americani e ispano-americani. Tale cambiamento nell’equilibrio demografico cominciò a trasformare la politica estera statunitense già con Obama, primo presidente non-bianco di una lunga serie, che focalizzò l’attenzione in maniera crescente sull’Asia, America Latina e Africa, a discapito dell’Europa.
Il nostro continente ha perso molti dei suoi primati negli ultimi 40 anni ed è entrato in difficoltà, non tanto economica, ma identitaria: mentre tutto il resto del mondo cresceva, la popolazione europea è calata, invecchiando sensibilmente, subendo passivamente la pressione demografica dell’Africa e assorbendo oltre 2 milioni di immigrati ogni anno.
Le nubi dei debiti sovrani e dei problemi della crescita di allora, non ci facevano scorgere l’orizzonte delle drammatiche prospettive demografiche.
Nel nostro Paese gli italiani indigeni sin sono ridotti a meno di 40 su 60 milioni di cittadini e la percentuale delle persone in età lavorativa è scesa dal 65% al 58% mettendo in squilibrio la bilancia generazionale.
Suonavano come un monito inquietante, le due voci diverse ma non distanti, che nel 2011, l’anno del vuoto della Politica, posero all’attenzione della società la precarietà di quella piramide rovesciata che incombeva sul futuro.
La prima fu del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Cardinal Bagnasco che denunciò le politiche ostative alla famiglia “non è con più consumo e meno figli che l’economia può sistemarsi” e auspicava “una alleanza, una grande sinergia per affrontare il calo demografico”.
La seconda del tecnocratico Governo Monti che pose l’accento sulla necessità di rigore e di equità generazionale, accelerando il passaggio dal sistema pensionistico retributivo a contributivo, riformando il mercato del lavoro abolendone le caste.
Purtroppo il 40enne di oggi, era già nato nel 2011 e da allora non sapemmo modificare il sistema di valori legati alla genitorialità in maniera sufficiente ad invertire la tendenza.
Le odierne statistiche giungono come una sentenza: nel 2051 abbiamo raggiunto il quarto posto al mondo per la più alta percentuale di popolazione anziana dopo Giappone, Germania e Corea del Sud.
La nostra Italia è diventato un Paese per anziani senza nipoti, tanto d’aver tarato i flussi migratori in numero proporzionale alle necessità delle cure delle persone non autosufficienti.
In compenso abbiamo sviluppato un mercato dell’ospitalità, dei servizi domiciliari di qualità (con una correlata riduzione dei servizi ospedalieri per le cure di lungo periodo) che ci vale il soprannome di Florida d’Europa e, scoprendo nell’invecchiamento della popolazione un giacimento culturale, in quanto la maggiore età è sinonimo di esperienza, abbiamo costruito le premesse per una società della conoscenza.
Tutti questi cambiamenti demografici non ci sorprendono perché erano già scritti all’inizio del secolo. Forse non ci saremmo mai aspettati che nazioni come la Nigeria potessero veramente diventare più popolosi degli interi Stati Uniti d’America, ma quello che più colpisce le persone della mia generazione è constatare invece gli effetti del cambiamento climatico.
La catena montuosa delle Alpi ha visto restringere i propri ghiacciai ad un quarto, modificando in maniera irreparabile la biodiversità. Nel sud Italia, gli ingenti investimenti per la desalinizzazione dell’acqua non sono sufficienti a sopperire le prolungate siccità e centinaia di chilometri di costa vengono sommersi dall’alta marea.
Le megalopoli indiane e della Cina del nord devono fronteggiare uragani e continui allagamenti a seguito dell’innalzamento dei mari mentre il nuovo Eldorado è il Nord del Mondo o meglio il NORC, secondo l’acronimo inglese NOrthern Rim Countries, coniato dal Professore Laurence Smith, per indicare quei vasti territori e mari che arrivano fino al Mar Glaciale Artico.
Proprio in queste immense aree a Nord del Circolo Polare Artico, rese maggiormente abitabili dall’innalzamento della temperatura, è stato possibile scoprire riserve di gas pari ad un terzo di quanto mai scoperto finora, oltre alle numerose miniere di Terre Rare che sono state rinvenute in Siberia, Alaska e Canada e che ci hanno permesso di ridurre la nostra dipendenza dalla Cina.
L’Europa si accorse per prima di tale scenario, decise di adottare le politiche 20/20/20 per la riduzione delle emissioni di CO2 che permisero la creazione di una fiorente industria del rinnovabile, tanto che gli europei di oggi ritengono di vivere la Terza rivoluzione industriale in anticipo e con notevoli vantaggi competitivi, rispetto al resto del mondo.
La robustezza delle aziende europee venne consolidata da questi processi di innovazione e da quelli di internazionalizzazione che vennero avviati non per delocalizzare, ma per conquistare nuovi mercati in forte crescita e rafforzando di conseguenza le proprie radici.
La pervasività della tecnologia nella nostra vita, ha modificato il modo di rapportarci con gli altri ed il modello reticolare a geometria variabile è diventato dominante rispetto al modello gerarchico tradizionale.
La rappresentanza sociale, il sistema normativo, si sono modificati per permettere la costruzione di un modello in divenire, di una società “liquido moderna” che non è sinonimo del “relativo e dell’effimero”, ma più precisamente è quella preannunciata da Zygmunt Bauman dove “le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure”.
Per la costruzione del modello sociale del nuovo futuro, fu propedeutico rimettere al centro l’etica: riuscimmo così ad aggregare strutture socio economiche su base omogenea, passando dagli interessi ai valori, favorendo la costruzione di una coscienza collettiva molto più densa.
L’uso quotidiano della tecnologia, che è diventata sempre più invisibile e leggera, ha spinto a ridisegnare la stessa dimensione spazio-temporale in cui l’uomo è abituato a misurarsi: ha appiattito tempi e distanze, ridotto l’interesse ai beni terreni, tanto da indebolire il concetto di proprietà per far posto a forme di condivisione delle cose e rivalutato la sfera spirituale e religiosa della persona umana.
Valorizzando il patrimonio industriale e culturale, con un alto livello di rispettabilità ed offrendo l’opportunità di una qualità della vita eccellente, l’Italia ha potuto trarre da questa nuova conformazione socio/economica una posizione dominante, diventando il centro culturale e tecnico di un nuovo Rinascimento, in cui vengono esaltate le capacità elaborative ed inventive.
L’Italia, affrontando i dilemmi prospettici, decise che non poteva essere solo un Paese per vecchi: puntò sull’attrattività diventando la terra dei parchi tecnologici scientifici, dove ricercatori, scienziati e creativi di tutto il mondo amano ritrovarsi perché trovano un ambiente ospitale ed internazionale. In questi spazi, le aziende monolitiche si integrano con strutture “plug and play” formando dei meltingpot su scala locale.
Il modello adottato del “Nuovo Manifatturiero” ad alto contenuto di conoscenza innovativa e ed alta sostenibilità ha mantenuto in questi luoghi le attività critiche di ricerca e progettazione demandando su scala internazionale parte del processo produttivo.
Le stesse piccole/medie imprese si sono trasformate radicalmente e mantengono sul nostro territorio il cuore, la capacità innovativa, i laboratori di ricerca e le accademie inter e intra-aziendali, che sono complementari alle Università, ma che si differenziano per la capacità di tramandare gli assets aziendali dell’intangibile e affinare le figure direzionali lungo tutto l’arco della vita.
L’impresa si modifica di conseguenza come la società, per diventare fluida, componibile, esasperando il tema della flessibilità, in cui gli staff di persone si compongono e si concentrano su progetti imprenditoriali in continua evoluzione, dando maggiore spazio alla realizzazione dell’ascensore sociale basato su criteri meritocratici.
Quella di inizio secolo non fu solo una recessione, ma una svolta storica che richiedeva di inventare nuove soluzioni, nuove imprese, nuove istituzioni, ripensando i paradigmi dominanti.
Anche il nostro territorio bergamasco in questi ultimi 40 anni è riuscito ad interpretare le dinamiche globali sapendone cogliere le opportunità.
Mentre nel mondo si sono formate delle città formicaio, con agglomerati da decine di milioni di abitanti, abbiamo evitato che Bergamo diventasse un museo all’aperto, riuscendo a costruire una polis a misura d’uomo, in cui prevalgono le leve delle tre T: Tecnologia, Talento e Tolleranza.
Abbandonammo la gestione del territorio frammentato in 240 comuni, con relative strutture sovracomunali e provinciali, per adottare un modello metropolitano capace di integrarsi con gli altri motori europei del Baden-Württemberg, Catalogna e Rodano Alpi.
Spostammo la logica dell’internazionalizzazione dagli interventi una tantum e finalizzati alle sole imprese esportatrici con interventi automatici di sistema che fossero a beneficio di tutta la rete di relazioni a valenza territoriale. Aprimmo la cultura locale, non solo sfruttando le infrastrutture per andare all’estero, ma per accogliere lo straniero arricchendoci della diversità.
Per portare qui le aziende internazionali ad investire e per permettere a quelle presenti di poter crescere, era necessario costruire una infrastruttura imprenditiva realmente pro-business.
Questa processo fu conseguente alla globalizzazione, perché da quando liberalizzammo i mercati globali alla fine del XX secolo, le imprese non si trovarono più in competizione tra di loro per i propri prodotti, ma si ritrovarono ad essere portatrici delle virtù e dei vizi del contenitore in cui erano insediate.
Apparve quindi evidente agli imprenditori la necessità di modificare la mappa, di assumersi le proprie responsabilità d’impresa e di attori fondamentali del Territorio, per poter reclamare il buon funzionamento di quello strumento per il benessere del singolo e della comunità che è la politica.
La società civile si fece promotrice di una chiara visione del Territorio che poté essere attuata superando i mandati e le scadenze elettorali.
Amici imprenditori contribuirono in maniera determinante con idee, riflessioni e progettualità a definire il piano industriale del Paese che venne attuato nei decenni successivi.
Venne sostenuto un progetto di costruzione di una trama sociale aperta, ingaggiante, all’interno della quale i cittadini della Società della Conoscenza possono annullare le barriere tra lavoro e vita privata, in una dimensione di benessere diffuso.
Si decise di costruire un contesto tollerante, multietnico, attrattivo e ricco di opportunità a livello culturale economico, sociale. Ci dotammo di infrastrutture fisiche e digitali per lo scambio della conoscenza, rinnovando con un basso impatto ambientale il contesto urbano.
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George Orwell diceva che “I pensatori della politica si dividono generalmente in due categorie: gli utopisti con la testa fra le nuvole, e i realisti con i piedi nel fango”.
Noi Giovani Imprenditori dobbiamo essere un po’ gli uni un po’ gli altri, facendo tesoro del passato, realizzando i sogni del futuro e cogliendo le opportunità di oggi.
28 Novembre 2011
Gianmarco Gabrieli
Presidente Gruppo Giovani Imprenditori
Confindustria Bergamo