Lui è tornato. Anzi è sempre stato tra di noi, perché è dentro di noi.
Non so se si possa definire o meno un esperimento sociologico, ma così vedo il fenomeno “Lui è tornato”, prima il libro venduto in oltre 1,2 milioni di copie e poi il film. La storia racconta di un certo Adolf Hitler, mai morto, che la provvidenza catapulta nella Berlino dei nostri giorni.
Facendo leva sulla paura del presente e l’angoscia del futuro, il personaggio riesce ancora ad affermarsi come leader, scaricando tutto il proprio carisma con uno sguardo, una parola ma anche solo con il silenzio, occupando quel vuoto con la propria, ingombrante, presenza. Presenza che per taluni è fonte di liberazione e per altri ancor più di angoscia.
In un misto di finzione scenica e candid camera, di realtà e sarcasmo, scorre il nostro timore più grande, che le nostre paure ci trascinino verso il populismo e riportino la lancetta della storia indietro nel tempo, facendoci cadere nella braccia dell’uomo forte, capace di liberarci dalle nostre paure a costi disumani.
Le conquiste liberali sono in discussione e la società aperta sarà un vacuo miraggio se la politica non saprà rispondere al bisogno di sicurezza sociale e stabilità economica, non solo del nostro Paese ma della più ampia area mediterranea di cui fa parte

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