generazioni

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Lettera a L’Eco di Bergamo – pubblicata il 16 giugno 2012

Gentile Direttore,

Sono passati tre anni dalla lettera di Pier Luigi Celli, allora direttore generale della Luiss, che   consigliava a suo figlio di lasciare l’Italia perché “questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio …. in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista”

L’editoriale di ieri di Benedetta Ravizza ripropone la questione aperta alla cittadinanza sui rapporti tra generazioni e sul ruolo che i giovani devono e possono avere ma, prima ancora, dovrebbero volere nella nostra società.

Lo scenario è desolante: secondo il rapporto di Astra Ricerche presentato venerdì scorso da Confindustria Bergamo, la metà dei giovani diventa economicamente indipendente tra i 30   e 34 anni e, come prima conseguenza, fanno pochi figli e molto più tardi che in passato.

Troppo spesso si parla ai giovani declinando al futuro, senza comprendere che è necessario iniziare oggi con politiche che non possono aspettare per dar loro una speranza, che non deve essere un miraggio o una falsa aspettativa, ma una concreta possibilità.

I nonni dei miei coetanei hanno avuto la possibilità di crescere nel boom economico degli anni ’60, i nostri genitori in quello degli anni ’80, ma qual è la prospettiva per le nostre generazioni? E per quelle successive?   Il fiscal compact impone per il prossimo decennio, tagli alla spesa pubblica del 10% del Pil. Chi sarà a pagare gli errori del passato?

È quindi lecito domandarsi se sia meglio rimanere o cercare all’estero la propria dignità e la propria affermazione professionale. Chi rimane però ha l’obbligo di rimboccarsi le maniche per pretendere il cambiamento.

Il processo è stato avviato a livello nazionale con la riforma delle pensioni, perché imposto dalla tenuta dei conti. Ma non è sufficiente.

A titolo di esempio, mentre ogni anno vengono spesi 254 miliardi di euro per il sistema pensionistico, agli asili nido viene destinato un solo miliardo da tutti i comuni italiani.   Queste strutture educative che, sono la prima forma di aiuto alle nuove e giovani famiglie, hanno delle gravi difficoltà economiche, anche nel bergamasco ed in particolare nell’hinterland e potrebbero essere meglio sostenute utilizzando risorse attualmente disperse (come quelle per contrastare i parcheggiatori abusivi).

È necessario che la classe dirigente si renda conto che la priorità di spesa, o meglio investimento, sono i giovani e che per uscire dall’attuale emergenza sociale è necessario che le risorse vengano ribilanciate, senza se e senza ma, verso le nuove generazioni, scrivendo un nuovo Patto Sociale, un Patto tra Generazioni.

Gianmarco Gabrieli

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