Alleanza Liberaldemocratica per l'Italia

Alleanza Liberaldemocratica per l’Italia

Intervento alla prima convention di ALI – 30 Novembre 2013

“Mala Tempora Currunt sed peiora parantur – Viviamo tempi difficili ma se ne preparano di peggiori” Duemila anni fa la capacità di sintesi di Cicerone riusciva in un’unica frase, densa di significato a esprimere con estrema precisione le difficoltà di un impero romano che cominciava a declinare.

Oggi l’Italia sta attraversando la stagione più difficile dal dopoguerra: non solo per la lunga catena di dati negativi, ma soprattutto perché sembrano smarriti lo spirito, la tensione collettiva e la speranza di anni migliori e spesso perfino le basi della convivenza civile. Sono passati quattro anni dalla lettera di Pier Luigi Celli, allora direttore generale della Luiss, che   consigliava a suo figlio di lasciare l’Italia perché “questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio ….  in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista”.

Lo scenario è desolante: secondo un rapporto di Astra Ricerche la metà dei giovani diventa economicamente indipendente tra i 30   e 34 anni e, come prima conseguenza, fanno pochi figli e molto più tardi che in passato andando ad aggravare una tendenza demografica volta all’invecchiamento della popolazione. Troppo spesso si parla ai giovani declinando al futuro, senza comprendere che è necessario iniziare oggi con azioni reali, concrete che non  siano un miraggio o una falsa aspettativa e che riescano a rispondere alle domande. I miei nonni e quelli dei miei coetanei hanno avuto la possibilità di crescere nel boom economico degli anni ’60, i nostri genitori in quello degli anni ’80, ma qual è la prospettiva per le nostre generazioni? E per quelle successive?   Chi sarà a pagare gli errori del passato? È quindi lecito per un giovane domandarsi se sia meglio rimanere in Italia o cercare all’estero la propria dignità e la propria affermazione professionale.

Chi rimane però ha l’obbligo di rimboccarsi le maniche per pretendere il cambiamento.

Nel nostro Paese ci sono tanti problemi che meriterebbero di essere affrontati per primi (dalla riforma della giustizia, a quella fiscale con la tanto attesa riduzione del peso fiscale sulle imprese e il lavoro, alle vere liberalizzazioni creando maggiore concorrenza nel settore dei servizi, specie quelli di pubblica utilità)  ma sicuramente c’è un’emergenza più urgente di altre che è la mancanza di lavoro.

II lavoro non si crea per decreto, ma la buona Politica deve adoperarsi per creare le condizioni affinché le imprese tornino ad assumere e nella speranza di un futuro. E’ prioritario quindi riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro, oggi quasi tutta concentrata nelle modalità d’ingresso, per poter migliorare le aspirazioni di vita dei giovani.   Finché non si capirà che questa crisi economica non è congiunturale, ma strutturale e che sono necessarie risposte adeguate, rimarremo intrappolati in questo triste limbo.

Dobbiamo trattare l’Italia come un paese emergente, dove le regole, soprattutto quelle del lavoro, si scrivono da zero con il coraggio di abbattere completamente le sovrastrutture create per un mondo che non c’è più, Possiamo invertire la rotta incentivando i più giovani ad andare verso l’eccellenza, ad impegnarsi nello studio e nel lavoro; permettendo al mercato del lavoro di funzionare secondo un sistema di merito, che preveda anche il demerito, ovvero lasciando libertà alle aziende e alla pubblica amministrazione di assumere i migliori e di poter congedare i fannulloni. Chi vuole rimanere in Italia, non è interessato ad un Repubblica fondata sul lavoro (se lo si ottiene per raccomandazioni o per ipocriti egualitarismi che appiattiscono verso il basso), ma è interessato ad una Repubblica fondato sul Merito.

Cerchiamo di costruire un territorio, un Sistema Paese che sia attraente e tollerante, che incentivi i giovani italiani a rimanere e i giovani europei a scegliere l’Italia non solo per una vacanza, ma per viverci, per lavorare, per far crescere i propri figli. Costruiamo un’Italia attraente anche per fare impresa, per aumentare la presenza delle multinazionali migliorando la cultura pro-business, favorendo gli investimenti privati in infrastrutture fisiche, di trasposto delle persone, delle merci e dei bits. E’ evidente che il percorso per evitare “i tempi peggiori” è ancora  lungo.

Il viaggio “Verso la Terza Repubblica” non è finito, occorre lavorare sulla crescita di una nuova classe politica realizzando una scuola di formazione, che formi nuove leve affinché entrino in politica per dare e non per ricevere, affrancandosi dai simboli del passato, ma anche del presente, sappiano costruire una società più aperta, rimettendo al centro le libertà individuali, riducendo il perimetro dello Stato e i suoi sprechi e dando più spazio ai giovani alle donne. Gli sforzi di associazioni come ALI e come Italia Futura (di cui sono rappresentante in Lombardia) devono intensificarsi perché sono le “cinghie di trasmissione” tra società civile e la politica che permettono a molti cittadini di avvicinarsi alla discussione pubblica e alla classe politica di rinnovarsi con ambizioni di futuro e competenze elevate.

Nel 2014 ci saranno delle importanti tornate elettorali, per rinnovare sia il Parlamento Europeo che migliaia di amministrazioni locali e possiamo ricostruire il Paese solo collaborando con spirito di squadra con tutte quelle forze autenticamente riformatrici e liberali che non si rivolgano solo alle élites, ma che sappiano parlare alla gente. Andiamo quindi avanti, mettiamoci a disposizione per abbattere i tanti spreads che separano l’Italia dai Paesi più avanzati, per costruire in Europa una federazione delle diverse anime liberali, e nel resto del Paese costruendo una rete di persone che si impegnino sul territorio.

Non lasciamoci prendere dalla frenesia del risultato del breve termine, non abbiamo la necessità di correre per formare in due settimane delle nuove liste elettorali, continuiamo quindi a impegnarci senza riserve, seminando per un raccolto nuovo, pulito che sappia poi dare il meglio dalle elezioni politiche successive.

Io sogno un paese con più innovazione, più concorrenza, più solidarietà. Un paese con una forte etica del mercato e un altrettanto forte etica del profitto.

Un Paese in cui il cittadino non si senta un Suddito.

Sappiamo cosa dobbiamo fare: cominciamo a gettare il cuore oltre l’ostacolo perché la ricostruzione dell’Italia è possibile

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