Comincio a congratularmi con Giorgia Meloni che ha vinto le elezioni. L’elettorato ha premiato nettamente le promesse chiare, rivolte al futuro, quelle che indicano ciò che si vorrebbe fare, anche se non rivelano con chi o come: oltre all’indicazione del, o meglio, della Presidente del Consiglio, Meloni non ha volutamente indicato i potenziali ministri del suo Governo, vuoi per una carenza di figure autorevoli nella destra, vuoi per non creare attriti tra i partiti, che si sono saputi unire più come un cartello elettorale che come una vera coalizione con leadership condivisa e un coeso programma comune. Per inciso, è evidente che si debba parlare di destra: il centrodestra o destracentro non esiste, con Fratelli d’Italia che vale quasi il doppio della somma di Lega e Forza Italia.
In questo giro, nonostante si occupi esclusivamente di politica da trent’anni, Giorgia Meloni è riuscita a risultare la novità elettorale, andando a intercettare quell’elettorato variabile, che ha premiato il PD della rottamazione di Renzi, per poi passare ai Cinque Stelle, successivamente a Salvini per poi finire nella fiamma. È riuscita ad impadronirsi, almeno temporaneamente, di questo elettorato anti-sistema, che negli ultimi 20 anni significa anti-partito democratico della Ditta, di quel partito di potere che anche non vincendo le elezioni è riuscito ad esprimere le figure apicali delle istituzioni.
Il Partito Democratico ha ottenuto un risultato specchio della propria proposta: insipida, ambigua, che ha cercato di unire, senza riuscirci, proposte agli antipodi (Sinistra Italiana e Calenda) al solo grido “altrimenti arrivano le destre”, e proprio per l’incapacità di mettere a fuoco una visione nitida del futuro, ha alimentato le incertezze nell’elettorato favorendo concorrenti come i Cinque Stelle che con l’unica proposta del reddito di sudditanza hanno incoronato Conte vicerè delle Due Sicilie. Altro grande tema la questione meridionale, con un elettorato a cui non interessano i fondi del PNRR per investimenti in infrastrutture e nemmeno spesa pubblica per far funzionare la cosa pubblica, ma solo e tristemente il sussidio di Stato.
Arriviamo al Terzo Polo, che ha ottenuto un risultato brillante se lo si considera come nuovo partito, ma modesto se lo si vuole confrontare con l’esperienza di Scelta Civica in cui ha radici: la vera sfida è riuscire a considerare questo risultato, al contrario dell’esperienza di Monti, come un punto di partenza, per dare in permuta la tenda elettorale, per costruire la Casa Comune dei liberali, dei riformisti e di quei popolari liberi e forti, che si rispecchiano nel progetto politico europeo di Renew Europe: le premesse, la voglia e l’entusiasmo non mancano #EnMarche

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