L’Italia ha (molto probabilmente) segnata la propria fine. Lo dice la demografia.
E’ da anni che mi interrogo sul trend demografico italiano e sulla posizione del nostro Paese nel rank mondiale della ricchezza e sono sempre più sconfortato, non solo per il problema in sé, ma perché non si riesce a trovare condivisione su questo allarme.
La prima volta fu una dozzina di anni fa, fu il Prof. Golini, durante una sessione di studio di The European House – Ambrosetti a sbattermi l’evidenza sotto gli occhi: non solo l’Italia invecchia e non si fanno più figli, ma il rapporto tra la popolazione lavorativa e quella non lavorativa farà saltare il Sistema Italia, sia sul lato pensionistico (chi è nato dopo il 1970 lo ha già capito), sia sul lato del welfare, perché non sarà possibile curare tutti nello stesso modo in cui si fa oggi (a meno di scoperte miracolistiche nell’ambito della medicina).
Al problema dell’invecchiamento, si unisce quello della trasformazione del nostro popolo. Tutte le statistiche mondiali sul GDP, in cui vedono l’Italia slittare dal 12° posto del 2014, al 15° del 2030 e al 18° del 2050, partono dal presupposto di immigrazione costante di 150/200 mila nuove unità.
Quando tre anni fa mi capitò di andare a Canale5 dalla D’urso, come candidato alla Camera per SC, e feci presente il problema, ricevetti insulti starnazzanti dal centro destra leghista e dalla platea: certo, quello non era il luogo migliore, ma era ed è un campione significativo del popolino italiano, ovvero di quella consistente fascia della società che erige barricate, non solo simboliche, ma anche fisiche, nei confronti dei migranti.
I migranti sono risorse? si forse, non lo so. Dipende se il problema lo vogliamo risolvere o se lo vogliamo nascondere sotto il tappeto. Al momento non mi risulta che tale persone siano in grado di farlo, sia per livello culturale, che di formazione professionale.
Se l’Italia nel 2050, riuscirà a mantenere almeno quelle posizioni e non scivolare oltre, dovrà necessariamente integrare i migranti e renderli pronti per il lavoro, perché quelle statistiche partono dal presupposto che siano capaci di produrre un reddito almeno pari a quello degli italiani autoctoni. E quindi? E quindi poniamoci il problema che serve un’integrazione reale, e che per il bene di lungo periodo del Paese possa essere imposta da un Governo che non sia prigioniero da quello stesso popolino drogato da mance elettorali.
Un Paese crea sviluppo e ricchezza se cresce demograficamente e se cresce il reddito unitario.